
Fonte: DiWineTaste
Il successo dello Champagne è legato alla magia dell’anidride carbonica che non si manifesta unicamente nel calice, nella forma di bollicine e spuma, ma anche in bocca nella forma dell’effervescenza con il suo caratteristico “pizzicore”. Anche questo stimolo tattile, brioso e gioioso, ha certamente contribuito al successo dello Champagne e di gran parte dei vini spumanti.
L’anidride carbonica stabilisce un forte legame con il vino, anche in quelli privi di effervescenza nel calice, poiché questo gas è prodotto durante la fermentazione alcolica e durante la cosiddetta fermentazione malolattica. Quest’ultima non si può infatti definire “fermentazione”, ma più propriamente conversione o degradazione malolattica, poiché non si tratta di una “fermentazione” nel senso proprio del termine, ma della degradazione dell’acido malico in acido lattico e, appunto, anidride carbonica. La degradazione malolattica, va ricordato, non è svolta per mezzo di lieviti – come invece accade per la fermentazione alcolica o primaria – ma per opera di batteri lattici. L’anidride carbonica prodotta dalla fermentazione alcolica e dalla degradazione malolattica è generalmente dispersa, motivo per il quale, nella produzione dei vini da tavola “fermi” non si rilevano quantità significative di questo gas tali da produrre l’effetto della effervescenza.
La dispersione dell’anidride carbonica è favorita ma può essere opportunamente conservata così da conferire al vino effervescenza, come nel caso dei vini frizzanti e spumanti. L’anidride carbonica – esattamente come accade per le acque minerali e le bevande in genere – può essere aggiunta artificialmente al vino al termine della produzione. Questa pratica è generalmente usata nei cosiddetti “vini alla spina frizzanti”, disponibili in alcuni ristoranti e serviti al tavolo in brocche, così come per alcuni vini in bottiglia. Va detto che la qualità della solubilizzazione dell’anidride carbonica nel vino varia enormemente in funzione della tecnica impiegata, fattore che influisce in modo significativo anche nell’effetto organolettico prodotto da questo gas.
Nell’enologia di qualità, la solubilizzazione dell’anidride carbonica nei vini è generalmente ottenuta con due metodi principali: mediante la rifermentazione in bottigliaoppure la fermentazione o rifermentazione in autoclave, cioè un contenitore a tenuta ermetica. In entrambi i casi, l’obiettivo è lo stesso: impedire la dispersione dell’anidride carbonica così da ottenere la solubilizzazione del gas nel vino producendo la caratteristica effervescenza. La rifermentazione in bottiglia è alla base del méthode champenoise – notoriamente impiegato per la produzione dello Champagne -, del metodo classico, metodo Franciacorta, metodo benedettino e metodo cava. Un altro metodo che si basa sulla rifermentazione in bottiglia, meno conosciuto di quelli precedenti ma ancora in uso per la produzione di certi vini francesi, come Gaillac e Limoux, è il méthode rurale, conosciuto anche come méthode artisanale, méthode ancestrale o méthode gaillacois.
La fermentazione o rifermentazione in autoclave è una tecnica che prevede l’impiego di un contenitore a perfetta tenuta ermetica. Questo metodo è conosciuto come metodo Martinotti o metodo Charmat, dal nome dei due tecnici che lo hanno ideato e perfezionato. La fermentazione in autoclave è stata infatti ideata da Federico Martinotti nel 1895 presso l’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti e successivamente ripreso e perfezionato nel 1910 dal francese Eugène Charmat. Il metodo è oggi prevalentemente conosciuto come metodo Charmat – ingiustamente disconoscendo il merito di Federico Martinotti – e, meno comunemente, metodo Charmat-Martinotti o metodo italiano. La produzione di un vino spumante mediante il metodo Charmat prevede una durata media di tre o sei mesi. L’enologo Nereo Cavazzani, verso la fine degli anni 1970, riprese questo metodo e mise a punto una procedura che allungava i tempi fra i sei e i dodici mesi, favorendo quindi anche la maturazione del vino.
I due metodi sono oggi conosciuti come metodo Charmat corto – o semplicemente metodo Charmat, nel caso la produzione abbia una durata variabile fra i tre e sei mesi; metodo Charmat lungo o metodo Cavazzani, quando la durata è compresa fra i sei e dodici mesi. Per completezza, è bene ricordare che il metodo ideato da Nereo Cavazzani prevede l’impiego di agitatori all’interno dell’autoclave, i quali, periodicamente, rimettono in sospensione i sedimenti di fermentazione, conferendo al vino una maggiore struttura e una maggiore complessità sensoriale. L’obiettivo dei vari metodi è quello di ottenere un vino nel quale sia presente anidride carbonica – quindi un vino effervescente – tuttavia è bene precisare che la qualità del risultato è significativamente diversa nei tre metodi. Il metodo classico consente di ottenere una solubilizzazione dell’anidride carbonica di alta qualità, con bollicine sottili e finissime, cremose. Per contro, è il metodo più costoso, poiché la sua durata può protrarsi anche per diversi anni. Il metodo di minore qualità, e anche il più semplice ed economico, è l’addizione artificiale nel vino, con il risultato di ottenere bollicine grossolane e un’effervescenza spesso aggressiva e sgraziata.
L’anidride carbonica, durante la fermentazione alcolica, è molto efficace nella conservazione del vino. Grazie al maggiore peso rispetto all’ossigeno, l’anidride carbonica forma un’efficace strato sopra la superficie del vino, spingendo letteralmente fuori l’ossigeno dal contenitore di fermentazione evitando quindi l’ossidazione. L’effetto di protezione dell’anidride carbonica si verifica anche nella produzione dei vini spumanti, sia quelli prodotti con il metodo classico, quindi rifermentati in bottiglia, sia quelli prodotti con il metodo Charmat-Martinotti. Durante la rifermentazione, la produzione di anidride carbonica, oltre a produrre pressione e a solubilizzarsi nel vino, svolge un ottimo ruolo di protezione, evitando il contatto con l’ossigeno e quindi l’ossidazione. I vini rifermentati in bottiglia possono, infatti, conservarsi virtualmente per periodi di molte decine di anni, proprio grazie alla presenza di anidride carbonica. Il declino si verificherà al momento della sboccatura, quando la bottiglia sarà aperta per consentire l’eliminazione dei sedimenti, operazione che consentirà l’ingresso dell’ossigeno.
Sarà infatti quella piccola quantità di ossigeno a contribuire alla maturazione dello spumante in bottiglia e, nel contempo, al suo inesorabile declino nel corso degli anni. Dal punto di vista tecnico, la produzione di vini spumanti mediante il metodo classico, oltre ad essere il metodo che consente di ottenere la migliore qualità in questo stile di vini, è anche quello che può garantire una migliore conservabilità del prodotto. Come già detto, fino al momento della sboccatura, il contenuto della bottiglia prodotto con il metodo classico può conservarsi per un periodo virtualmente indeterminato. L’effetto conservante dell’anidride carbonica, isolando il vino dall’ossigeno, consente ai produttori di questo stile di vino di potere immettere periodicamente nel mercato annate molto vecchie, anche di decine di anni. Per chiarezza, va detto che si tratta di vini sboccati pochi mesi prima della commercializzazione, dopo avere consentito loro di “riposare” ed “evolvere” in bottiglia per molti anni. Il risultato si esprime nel calice con qualità organolettiche di incredibile complessità pur conservando ancora un’invidiabile freschezza.
In accordo alle disposizioni di legge, i vini effervescenti appartengono a categorie specifiche a seconda della pressione interna della bottiglia e prodotta dall’anidride carbonica. Il vino si definisce spumante nel caso la pressione in bottiglia, misurata alla temperatura di 20 °C, non sia inferiore a 3,5 bar; vini con pressione compresa fra 1 e 2,5 bar si definiscono invece “frizzanti”. Dal punto di vista tecnico, la produzione della pressione di 1 bar per litro all’interno della bottiglia, richiede la fermentazione di 4,3 grammi di zucchero, dei quali, parte saranno convertiti in alcol dai lieviti e parte in anidride carbonica. Considerando quindi la tipica pressione in bottiglia degli spumanti metodo classico, generalmente pari a 6 bar, per ottenere questa pressione, nel vino base dovranno essere presenti circa 25 grammi di zucchero per litro. Com’è noto, questa quantità di zucchero è aggiunta insieme ai lieviti al vino base – che è un vino secco e totalmente vinificato – così da attivare la seconda fermentazione.
Dal punto di vista sensoriale, l’anidride carbonica produce gli stessi effetti indipendentemente dal metodo utilizzato, le uniche differenze apprezzabili riguardano prevalentemente le sensazioni tattili (il perlage), mentre l’effetto gustativo, e l’interazione con gli altri stimoli, è il medesimo. La prima impressione che si riceve dall’anidride carbonica al momento dell’immissione in bocca, è rappresentata dalla caratteristica effervescenza, una sensazione tattile che produce il tipico “pizzicore”. L’intensità e la delicatezza di questo stimolo varia in modo significativo dalla tecnica di produzione e, in particolare, dalla dimensione delle “bollicine”. Il processo di addizione artificiale di anidride carbonica produce un’effervescenza piuttosto violenta e intensa, con bollicine grossolane, che in bocca diventa aggressiva, spesso fastidiosa e perfino dolorosa.
Sensazione ben diversa è quella percepita negli spumanti metodo classico. In questi vini, infatti, la dimensione delle bollicine è decisamente inferiore, producendo comunque un’efficace sensazione di effervescenza, tuttavia meno aggressiva in bocca e, nei casi di eccellenza, conferiscono al vino un’elegante cremosità. Per quanto concerne il gusto, l’anidride carbonica ha un sapore tendenzialmente acidulo, stimolo che è generalmente percettibile, quando disciolta in acqua, a concentrazioni superiori a 200mg/l, mentre la soglia si alza a 500mg/l nel caso del vino. Il suo sapore acidulo si aggiunge, ovviamente, alla sensazione di acidità conferita al vino da tutte le sostanze acide presenti, accentuando quindi la freschezza del vino. Dal punto di vista gustativo, l’anidride carbonica tende ad accentuare le cosiddette sensazioni “dure”presenti nel vino, pertanto l’intensità dell’astringenza e dell’acidità aumentano in presenza di questo gas.
Per contro, l’anidride carbonica attenua glistimoli prodotti dalle sostanze cosiddette “morbide”, come la dolcezza, la morbidezzae l’alcolicità. Un vino effervescente, esattamente come qualunque bevanda addizionate di anidride carbonica, risulta, di fatto, meno dolce e meno alcolico di quanto non sia effettivamente. Qualora si consenta all’anidride carbonica di liberarsi completamente dal vino, per mezzo dell’agitazione del calice, si percepirà una maggiore sensazione della dolcezza e degli effetti pseudocalorici dell’alcol, accentuando, nel contempo, la morbidezza. L’accentuazione dell’astringenza, in particolare, giustifica la scarsa disponibilità di vini spumanti prodotti con uve a bacca rossa, poiché questo porterebbe a un vino eccessivamente squilibrato e allappante. L’anidride carbonica, quindi, svolge un ruolo fondamentale nell’equilibrio gustativo del vino. L’effetto di questo gas è infine utile anche nella fase olfattiva della degustazione. Quando l’anidride carbonica si libera dalla superficie del vino, trasporta con sé anche le sostanze aromatiche, facilitando, seppure marginalmente, la percezione dei profumi.